Derivati e Nullità dei contratti: la sentenza delle Sez. Unite n° 29107/20
È nullo il contratto se la banca non prova di avere agito con diligenza anche se l’investitore è classificato come “operatore qualificato”
La vicenda è comune a molte piccole e medie imprese che per ottenere liquidità hanno dovuto stipulare contratti derivati Interest Rate Swap asseritamente a “copertura” dell’operazione di finanziamento richiesta, ma nei fatti speculativi.
Tali contratti IRS, in alcuni casi, hanno portato ad un vero e proprio blocco delle attività produttive.
Infatti, gli affidamenti normalmente utilizzati per consentire la normale operatività aziendale, sono stati completamente erosi dall’addebito di differenziali negativi, in violazione all’art. 23 TUF.
Nella fattispecie scrutinata dalle Sezioni Unite la banca non ha depositato il contratto di finanziamento rispetto al quale il derivato si sarebbe posto quale strumento di copertura dal rischio della fluttuazione dei tassi.
La Corte argomenta tale carenza ritenendo inverosimile che un IRS di copertura sia stato posto in essere senza l’acquisizione del finanziamento primario oggetto della copertura. Ove ciò fosse realmente accaduto, l’intermediario sarebbe stato ugualmente responsabile per aver predisposto uno strumento non adeguato alle finalità che il cliente aveva rappresentato.
Cosa sono gli Interest Rate SWAP?
Gli Interest Rate Swap sono contratti con i quali due parti, dette controparti, si scambiano il pagamento di interessi periodici, calcolati su un importo denominato capitale nozionale di riferimento.
Tali scambi di flussi di interessi avvengono a date prestabilite fino alla scadenza del contratto (c.d. maturity date).
L’IRS è uno strumento che può avere finalità di:
- copertura da un rischio, ad esempio rispetto alla fluttuazione dei tassi di interesse convenuti in un sottostante rapporto di finanziamento;
- speculative, per cui l’intento dell’investitore è quello di trarre il massimo profitto dal capitale investito. Tali derivati sono molto rischiosi, infatti l’investitore assume rischi proporzionalmente crescenti in funzione dei guadagni ipotizzati, fino a perdere per intero il capitale investito;
- arbitraggio, ossia intermediazione senza rischi, volta a conseguire un minimo profitto.
A norma dell’art. 23 TUF, i contratti relativi a prestazione e servizi di investimento devono essere redatti in forma scritta, con consegna di un esemplare al cliente, a pena di nullità. La principale ragione per cui la mancata predisposizione del contratto per iscritto è sanzionata con la nullità è data dal fatto che la forma scritta è funzionale alla precisa individuazione degli elementi essenziali del contratto.
Chiunque può negoziare strumenti finanziari derivati?
Ovviamente non tutti possono negoziare derivati, attesa la complessità ed i rischi connessi a tali strumenti.
Tanto soprattutto con riferimento ai derivati non negoziati in mercati regolamentati, ossia ai derivati negoziati Over The Counter.
La difficoltà di accesso ad un mercato, o la negoziazione in mercati non regolamentati rende difficoltosa la determinazione di un valore economico oggettivo, tanto, comporta l’assunzione di rischi più elevati in capo all’investitore.
Per tali ragioni l’utilizzo di tali strumenti è limitato a quelle categorie di soggetti classificati come “operatori qualificati”.
Cosa si intende per operatore qualificato?
L’art. 31, comma 2, reg. 11522/1998, come abrogato e sostituito dal reg. n. 16190/2007 fornisce la complessa nozione di operatore qualificato.
Per operatore qualificato, ai sensi della richiamata norma, si intende “ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentante”. Questi soggetti, oltre alle S.G.R. ed alle SICAV, se realmente in possesso di competenza ed esperienza, sono in grado di operare sui mercati finanziari e di tutelarsi autonomamente. Tuttavia in mancanza di una certificazione pubblica, o comunque ufficiale, della natura di operatore qualificato qualunque società potrebbe, in linea di principio, detenere tale qualifica.
Gli elementi utili a definire un operatore come qualificato sono diversi e variano a seconda che si faccia riferimento al periodo antecedente o successivo al 2 novembre 2007.
Infatti, nuovi elementi oggettivi utili a “qualificare” l’operatore sono stati introdotti dal D.lgs n° 164 del 17 settembre 2007 e successivo regolamento CONSOB delibera n. 16190 del 20 ottobre 2007 che recepisce la Markets in Financial Instruments Directive ossia la direttiva 2004/39/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 21 aprile 2004, e la successiva direttiva 2006/73/CE (c.d. MIFID).
In cosa consistono gli obblighi informativi a carico della banca?
I doveri informativi risultano direttamente dall’art. 21 TUF.
Secondo tale norma i soggetti abilitati devono acquisire, nella prestazione dei servizi di investimento e accessori, le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati.
Gli intermediari autorizzati devono chiedere all’investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio e devono consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari.
L’art. 19.1 MiFID stabilisce inoltre che gli intermediari devono operare “in modo onesto, equo e professionale per servire al meglio gli interessi dei loro clienti”.
Tanto, in conformità ai principi di diligenza, correttezza e trasparenza, imposti dall’art. 21 TUF e dalle generali prescrizioni del codice civile secondo il disposto dell’art. 1337 cc.
L’investitore esperto ha diritto ad essere informato adeguatamente?
Con l’Ordinanza n. 18153 del 31 agosto 2020 la I Sezione Civile della Corte di Cassazione ha chiarito che anche l’investitore esperto, che abbia già negoziato titoli o strumenti finanziari ad alto rischio deve essere adeguatamente informato sui rischi delle operazioni finanziarie che si accinge a porre in essere.
L’esperienza acquisita non è un fattore che la Legge contempla quale elemento utile ad esimere l’intermediario dagli obblighi informativi. A tale proposito l’Ordinanza 18153/20 richiama i principi espressi nella Sentenza Cass. Civ. 7905 del 17 aprile 2020 in tema di danno.
Infatti, secondo la Suprema Corte, nel caso di mancato assolvimento degli obblighi informativi previsti dalla legge, sussiste, in capo all’intermediario, la presunzione dell’esistenza del nesso di causalità tra mancata informativa e danno patito.
L’inosservanza del dovere informativo è fonte di disorientamento dell’investitore, che anche se esperto, non dispone delle informazioni utili ad ingenerare in esso la necessaria consapevolezza prevista dalla legge.
La sentenza delle Sezioni Unite n° 29107 del 18 Dicembre 2020
Attesa la complessità tecnica dei temi trattati, e diciamolo, la leggerezza con cui gli strumenti finanziari derivati sono stati collocati dal 2000 in poi da quasi tutti gli istituti di credito, le difese di questi ultimi si sono concentrate molto spesso su aspetti formali, e meno sugli aspetti sostanziali delle controversie instaurate dai clienti.
Un tema su cui si è molto dibattuto in giurisprudenza è proprio la nozione di operatore qualificato e la capacità di chiunque avesse tale qualifica di essere controparte nei contratti IRS.
In buona sostanza, si è cercato di affermare il principio secondo il quale, chiunque avesse la “patente” di operatore qualificato, fosse pienamente consapevole dei rischi connessi ai prodotti derivati. Tale consapevolezza, meramente presunta, diveniva il paravento dietro il quale gli intermediari che non avessero adempiuto gli obblighi di legge trovavano riparo.
La sentenza 29107/20 pronunciata dalle Sezioni Unite ha demolito tale assunto affermando che “l’attribuzione della qualità di operatore qualificato non esime la banca dall’osservanza degli obblighi imposti dall’articolo 21 e 23 del testo unico della finanza”.
Ciò comporta che la banca deve provare, mediante la produzione di specifici documenti, di aver agito con la specifica diligenza richiesta.
Le Sezioni Unite fanno conseguire al mancato assolvimento dell’onere probatorio, la responsabilità precontrattuale ed extracontrattuale in virtù della quale vi è l’obbligo di risarcire i danni cagionati all’investitore.
Conclusivamente si può affermare che la pronuncia in commento chiude il cerchio ponendo un freno rispetto alla smodata ed insensata collocazione di strumenti finanziari derivati anche laddove non erano necessari.
È bene chiarire che gli strumenti finanziari non sono negativi in sé. Tuttavia il loro utilizzo deve essere informato, consapevole e coerente con gli obiettivi dell’investitore.
Il significato della pronuncia delle Sezioni Unite è chiaro: è necessaria grande cura da parte dell’intermediario nella collocazione e gestione di tali strumenti.
Dott. Francesco Leo
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