Anatocismo: Banca Alto Atesina condannata a restituire all’imprenditore € 543.000 oltre interessi, nonché le spese della Consulenza Tecnica di Parte e legali.

 

La vicenda è comune a quella di molti imprenditori che intrattengono conti correnti affidati, tecnicamente – aperture di credito in conto corrente – il cui saldo debitore viene trasformato in un mutuo ipotecario o in un finanziamento di medio-lungo termine. Nella specie la società correntista beneficiava di un fido di oltre € 2.400.000 costituito in prevalenza da anticipi export.

Il saldo debitore del conto è stato ripianato mediante un mutuo ipotecario.

La principale caratteristica del rapporto di apertura di credito era di essere costituito da un conto ordinario e diversi conti anticipi collegati, i cui  interessi, spese e commissioni sono stati trimestralmete addebitati sul conto ordinario, peraltro, generando anatocismo dopo il 2000.

Attesi gli ingenti addebiti trimestrali per competenze, la società correntista, dopo una dettagliata revisione bancaria, ha provveduto a contestare alla banca la presenza di addebiti di interessi corrispettivi, interessi anatocistici, CMS e commissioni sull’affidamento non dovute o eccedenti il dovuto, chiedendone la restituzione.

Con la sentenza in commento il Tribunale di Bolzano ha riconosciuto la fondatezza delle contestazioni poste in essere dalla correntista condannando la banca a restituire oltre 543.000 euro ed a rimborsare alla società le spese sostenute sia per la consulenza tecnica di parte a firma del Dott. Francesco Leo, sia le spese legali.

Ma vediamo i principali motivi sulla base dei quali il Giudice ha condannato la banca, dando pienamente ragione alla società correntista.

Innanzitutto occorre sottolineare fin da subito, che la banca si è difesa strenuamente depositando una mole piuttosto importante di documenti a supporto della corretta esecuzione del rapporto.

Più precisamente la difesa della banca si è focalizzata sui seguenti aspetti:

1) Mancato assolvimento dell’onere della prova, poiché la società correntista avrebbe posto in essere contestazioni “generiche” chiedendo una CTU esplorativa, e come tale inammissibile;

2) Decorrenza dei termini di prescrizione, con conseguente ipossibilità di riconoscimento della restituzione degli importi di interessi commissioni e spese già pagati;

3) Piena legittimità dell’antocismo dopo il 2000;

4) Piena legittimità delle Commissioni di Massimo Scoperto.

Ma vediamo nel dettaglio perché il Giudice ha deciso di rigettare tutte le difese della banca dando ragione all’imprenditore.

 Il primo aspetto riguarda la perizia econometrica alla base delle contestazioni. Quindi la domanda è:

 

Se avvio una causa di anatocismo e più in generale contro una banca la perizia econometrica di revisione bancaria è indispensabile?

Come chiarisce la giurisprudenza della Cassazione ed anche la sentenza in commento la parte attrice è onerata di provare i fatti alla base della propria domanda ai sensi dell’art. 2967 cc e deve depositare tutta la documentazione utile ad accertare correttamente l’ammontare della pretesa restitutoria.

Quindi non basta che il correntista che agisce contro una banca depositi gli estratti conto, ma deve anche indicare quali addebiti ritiene illegittimi e i calcoli che producono un saldo diverso rispetto a quanto indicato in estratto conto.

Tale attività di revisione bancaria è posta in essere da un Consulente Tecnico di Parte che esamina, oltre gli estratti conto, anche i contratti e redige apposita perizia economentrica di revisione bancaria.

Laddove tale attività non venga sviluppata il Giudice chiamato a decidere della controversia non può incaricare un proprio Consulente Tecnico d’Ufficio per quantificare l’indebito da restituire al correntista poiché “La CTU non può essere utilizzata per colmare le lacune probatorie in cui sia incorsa una delle parti o per alleggerirne l’onere probatorio.” (Cass. Civ., sez. III, ordinanza 18 settembre 2020, n. 19631 (rel. Travaglino)).

Il Giudice di Bolzano esaminando i documenti allegati dal correntista ha accertato che “la società attorea ha indicato puntualmente a pag. 19-24 dell’atto introduttivo gli addebiti non giustificati (andando così oltre l’onere stabilito da Cass. Sent. n. 28819/2017), producendo altresì i relativi estratti conto, dimostrando per l’effetto l’esistenza di specifiche poste passive del conto corrente oggetto di causa – chiuso nel 2015 – che avrebbero determinato maggiori esborsi rispetto a quelli contrattualemtne dovuti […].

La consulenza tecnica disposta in corso di causa, dunque, oltre a non assumere carattere esplorativo , essendo destinata a verificare la fondatezza della pretesa attorea sulla base della documentaione in atti, ha tenuto conto delle istanze probatorie.

In sintesi il difensore dell’attrice ha riportato nell’atto introduttivo i principali dati, nella specie le posste indebite, emerse in sede di reviosne bancaria e contenute nella CTP. Tanto ha impedito che la contestazione della banca in ordine al mancato assolvimento dell’onere della prova fosse accolto.

Quindi la risposta alla domanda iniziale è SI la perizia econometrica di revisione bancaria è indispensabile quando si avvia un contenzioso bancario.

Altro importante tema riguarda la prescrizione.

Sulla base della Sentenza 24418 del 2010 pronunciata dalle Sezioni Unite della Cassazione la principale difesa delle banche è costituita dall’eccezione di prescrizione delle compentenze addebitate  da più di dieci anni dalla chiusura o contestazione del conto corrente.

Quello della prescrizione è un vero e proprio cavallo di battaglia della difesa degli istituti di credito nelle cause di anatocismo sui conti correnti.

 

Ma vediamo di capire meglio.

La prescrizione è disciplinata dall’art. 2946 del Codice Civile, in estrema sintesi la norma prevede che se un diritto non viene esercitato entro un termine che stabilisce la legge, di norma 10 anni, ma può essere piu breve o più lungo, il diritto si prescrive.

Nel contenzioso bancario la prescrizione riguarda il diritto di richiedere inndietro alla banca delle somme pagate in eccesso rispetto al dovuto.

Ebbene la citata sentenza delle Sezioni Unite ha stabilito che il versamento su un conto corrente affidato si può definire pagamento se il limite del fido era superiore all’ammontare del fido stesso (c.d. extrafido), diversamente si tratta di un semplice versamento utile a ripristinare la provvista del conto (per chi volesse approfondire ho scritto un articolo sulla prescrizione)

La conseguneza immediata di ciò è che se sul conto sono presenti versamenti qualificabili come “pagamenti” nel senso appena descritto la prescrizione di 10 anni decorre dal momento del pagamento. Pertanto il correntista decorsi 10 anni dal pagamento di interessi, commissioni spese non dovute, non può più chiederne la restituzione.

Ciò detto occorre chiarire che in alcuni casi i contratti non prevedono prevedono il limite del fido o non lo indicano in maniera chiara poiché esistono fidi promiscui cioè l’affidamento ordinario e quelli per gli anticipi sono trattati assieme, come avviene nel caso oggetto della sentenza del Tribunale di Bolzano.

A questo punto la domanda che sorge spontanea è quando i contratti di conto corrente non indicano l’importo del fido deve ritenersi tutto prescritto?

Ebbene, diventa rilevante capire come si può valutare l’esistenza o la consistenza di un fido in assenza di indicazioni contrattuali o in presenza di indicazioni contrattuali confuse o poco chiare.

La giurisprudenza muovendo dall’art. 1843 cc ha elaborato la figura dell’affidamento di fatto.

Il fido di fatto consiste nel valutare l’andamento dei saldi periodico del conto corrente. In sintesi se i saldi sono solo occasionalmente debitori e per importi contenuti e tempo limitato si parla di semplice “scoperto” di conto.

Laddove, invece, l’esposizione debitoria è prolungata nel tempo, continuativa ed ha ad oggetto somme consistenti si parla di “fido di fatto”. Ulteriori indici sono l’addebito di commissioni sull’affidamento e le segnalazioni dell’importo utilizzato presso i sistemi creditizi, ad esempio la Centrale Rischi della Banca d’Italia.

Il Giudice di Bolzano, seguendo il solco tracciato dalla CTP e dalla difesa ha ritenuto che “nella qualificazione del rapporto affidato occorre tenere conto della stabilità – non occasionalità – dell’esposizione a debito e dell’entità del saldo debitore”, pertanto ha ritenuto che il rapporto fosse affidato e che tutti i versamenti fossero stati eseguiti entro il limite dell’affidamento concesso, pertanto non è maturata nessuna prescrizione.

In buona sostanza, se si opera riferimento al fido di fatto, questo si determina avendo riferimento alla massima esposizione del conto o ad altri elementi estrinseci quali ad esempio la segnalazione in centrale rischi dell’utilizzato o altri ancora.

Ulteriore profilo di interesse è che il Tribunale ha ordinato che il CTU eseguisse l’accertamento sulla prescrizione dopo aver depurato il conto di tutti gli addebiti illegittimi, in base alla sentenza della Cassazione n° 3858/2021. La sentenza prevede che le clausole contrattuali nulle sono prive di effetti, pertanto gli addebiti posti in essere in base a tali clausole devono essere, in ogni caso, esclusi.

Come detto la banca si è difesa strenuamente ed ha argomentato anche sulla Piena legittimità dell’antocismo dopo il 2000 e sulla legittimità delle Commissioni di Massimo Scoperto.

Anche in questo caso, il Giudice ha dato torto all’istituto di credito.

 

L’anatocismo è legittimo dopo il 2000?

La banca in questo, come nella maggior parte dei casi, si è difesa depositando la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della deliber CICR del 2000. Tale pubblicazione era considerata idonea a legittimare l’anatocismo post 2000 fino alla sentenza 9140/20 ed ad una serie di ordinanze della cassazione che sono seguite.

Secondo il richiamato orientamento della Cassazione le clausole che sanciscono la capitalizzazione non approvate espressamente dal cliente sono illegittime, sebbene pubblicate in Gazzetta Ufficiale. Il Tribunale di Bolzano ha spostao tale tesi,  ritenendo l’anatocismo illegittimo anche successivamente al 2000 e disponendo l’integrale restituzione al correntista degli interessi anatocistici anche dopo il 2000.

Sul punto è doveroso segnalare un orientamento ancora più recente.

Infatti, la Corte di Cassazione, con sent. n. 4321 del 10.02.2022, ha affermato che “La previsione, nel contratto di conto corrente stipulato nella vigenza della delib. CICR 9 febbraio 2000, di un tasso di interesse creditore annuo nominale coincidente con quello effettivo non dà ragione della capitalizzazione infrannua le dell’interesse creditore, che è richiesta dall’art. 3 della delibera, e non soddisfa, inoltre, la condizione posta dall’art. 6 della delibera stessa, secondo cui, nei casi in cui è prevista una tale capitalizzazione infrannuale, deve essere indicato il valore del tasso, rapportato su base annua, tenendo conto degli effetti della capitalizzazione”.

In sintesi, se il tasso effettivo è previsto per gli interessi passivi con effetto della capitalizzazione, il contratto deve indicare anche il tasso effettivo per gli interessi attivi. Se il contratto non prevede tale indicazione, non può essere applicato l’anatocismo.

Da ultimo il tribunale ha respinto la tesi propugnata dalla banca secondo la quale la Commissione di Massimo Scoperto sarebbe legittima.

 

Quando la commissione di massimo scoperto è illegittima?

 La CMS è un emolumento accessorio, pertanto deve essere determinata in contratto. Il contratto deve prevedere i parametri di calcolo, cioè se la CMS è applicata sull’affidamento concesso o su quello utilizzato, oltre a ciò deve essere indicata anche la misura percentuale, la modalità e la periodicità di calcolo. Infine analogamente ad ogni altra pattuizione contrattuale accessoria, la CMS deve essere determinata o, almeno determinabile, al momento in cui il contratto è stato chiuso.

Pertanto in mancanza di tutti tali elementi, com’è avvenuto nel caso oggetto della sentenza di Bolzano, gli addebiti a titolo di CMS sono illegittimi e devono essere restituiti.

Dott.Francesco Leo

 

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Anatocismo: Banca Alto Atesina condannata a risarcire

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Sentenza Bolzano