Anatocismo post 2000: banca condannata a pagare oltre € 100.000,00 per illegittimo anatocismo, interessi ultralegali e CMS

 

La pesante condanna a risarcire un’azienda attiva nel settore tessile, arriva dal Tribunale di Napoli nell’ambito di una causa per anatocismo. Il Giudice ha accertato che, sebbene il contratto tra banca e correntista sia stato stipulato successivamente alla delibera CICR 2000, che regola l’anatocismo, i parametri della delibera non risultano rispettati.
Conseguentemente è stata sancita l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale degli interessi posta in essere dalla banca in violazione dell’art. 1283 cc (divieto di anatocismo).
Oltre all’illegittimità degli interessi anatocistici il Tribunale ha sanzionato la banca per avere applicato tassi ultralegali, CMS e spese in assenza di contratto di apertura di credito.
Più precisamente gli accertamenti contabili effettuati dal consulente tecnico d’ufficio hanno confermato le innumerevoli criticità portate alla luce dalla perizia Kipling a firma del Dott. Francesco Leo e contestate in giudizio dall’Avv. Emilio De Stefano del foro di Nola.
In particolare, il Tribunale ha stabilito che in presenza di saldi costantemente e non occasionalmente debitori, il rapporto non è qualificabile quale conto corrente occasionalmente scoperto. Esso si configura invece come “apertura di credito in conto corrente” (c.d. fido o affidamento). La peculiarità è nel fatto che il cliente non opera con somme proprie, ma con capitali messi a disposizione dalla banca.
In tale ambito, è previsto dall’art. 117 TUB a pena di nullità che la concessione della linea di credito, unitamente ai tassi ultralegali, CMS e spese ed altri oneri siano pattuiti in forma scritta. Ove non previsti per iscritto gli interessi ultralegali, le cms e le spese, non possono essere addebitate, pertanto la banca ha diritto a percepire unicamente gli interessi al tasso minimo dei BOT.
Il Tribunale si è altresì soffermato sulla eccepita nullità del contratto di conto corrente, attesa la violazione dell’art. 1326 cc. Il contratto risulta carente della firma del cliente, requisito formale per dimostrare l’accettazione da parte del correntista delle condizioni proposte dalla banca.
Sul punto è interessante rilevare che la sentenza in commento non si limita a pronunciarsi sulla carenza di firma da parte del cliente, ma nell’iter motivazionale chiarisce che anche con riferimento ai contratti “sottoscritti dal solo cliente, è legittimo chiedere al CTU di procedere al calcolo del saldo del conto corrente”. Con ciò ribadendo che il requisito di perfezionamento dei contratti di conto corrente e di apertura di credito è la firma, anche da parte della banca, non essendo sufficiente la sola sottoscrizione da parte del cliente.
La sentenza ripropone dunque la questione dei contratti “monofirma”, sulla quale si sono espresse le Sezioni Unite della Suprema Corte con sentenza n°898/2018, affermando che la firma singola è sufficiente nei rapporti configurabili come mandato ad agire (contratti di investimento), ma non anche per i rapporti a prestazioni corrispettive nell’ambito dei quali la volontà di entrambe le parti deve essere espressa.

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Kipling Revisione Bancaria