Nell’ambito di un contenzioso bancario nel quale lo studio Kipling ha curato la difesa tecnica si è posta la questione relativa alla possibilità o meno di contestare il saldo del conto, nonostante il conto corrente fosse ancora aperto. La Suprema Corte ha, infatti, ribaltato con l’Ordinanza n.5118/24 le decisioni assunte dai giudici di merito, che negavano tale possibilità al correntista. Tanto ci offre la possibilità di rispondere ad alcuni dirimenti ed importanti quesiti che si sono posti nel caso di contestazioni a conto aperto.
La questione, apparentemente banale, è stata oggetto di diverse pronunce sia di merito che di legittimità. Infatti, molto abilmente, le difese di alcuni istituti di credito hanno muovendo dal principio stabilito dalla Cassazione secondo cui “è ripetibile la somma indebitamente pagata e non già il debito sostenuto come illegale” (Cassazione Civile, sez. III, 15 gennaio 2013, n. 798), hanno ampliato la portata di tale principio ottenendo in sede di merito che un conto non chiuso non potesse essere oggetto di ricalcolo.
Pertanto molti Tribunali e qualche Corte d’Appello hanno travisato il principio appena citato giungendo al paradosso di rigettare la domanda semplicemente ritenendo che il conto aperto non consentisse neppure di poter ricalcolare il saldo. Tanto è quanto è avvenuto nei gradi di giudizio di merito oggetto dell’ordinanza in commento.
La perizia redatta dalla Kipling Revisione Bancaria aveva accertato la presenza di addebiti illegittimi per interessi, commissioni, spese ed altri oneri rideterminando il corretto saldo dare/avere. La perizia econometrica aveva accertato che il saldo debitore di circa €250.000,00 esposto negli estratti conto, visti gli illegittimi addebiti, si sarebbe ridotto all’esito della ricostruzione contabile a circa €130.000,00.
Dunque, la domanda aveva ad oggetto la legittima rideterminazione del saldo e non la ripetizione di indebito. Infatti, mediante la rideterminazione del saldo si chiede il ricalcolo, in conformità ai contratti eventualmente intercorsi ed alla legge, del saldo di conto corrente. Si ottiene così la corretta posta contabile che indica i rapporti dare avere tra le parti, in sostituzione del saldo illegittimamente indicato in origine negli estratti conto.
La ripetizione di indebito consiste nell’ottenere in restituzione mediante un vero e proprio pagamento le somme illegittimamente addebitate dalla banca.
Semplificando si può affermare che la rideterminazione del saldo consiste in una “correzione” del saldo reale rispetto a quello indicato dalla banca essendo quest’ultimo errato. Invece, la ripetizione di indebito presuppone il pagamento dalla banca al correntista di somme indebitamente trattenute dalla banca all’esito di addebiti illegittimi. Tuttavia, il tribunale adito per la legittima rideterminazione del salo, aveva ritenuto inammissibile la domanda del correntista volta alla rideterminazione del saldo.
Alla luce di quanto appena chiarito si chiarifica il principio posto dalla Cassazione secondo cui “è ripetibile la somma indebitamente pagata e non già il debito sostenuto come illegale”. La Suprema Corte muove dal presupposto che per poter chiedere la restituzione di un pagamento indebito, è necessario che l’importo sia stato effettivamente corrisposto, in che è corretto, ma erroneamente ritiene che i versamenti confluiti su un conto non chiuso rappresentino delle mere poste contabili non idonee ad integrare un pagamento. Pertanto secondo il supremo Collegio l’indebito, inteso come pagamento non dovuto, è ripetibile, soltanto quando il conto è chiuso poiché solo in tale caso il versamento è qualificabile come effettivo pagamento. Dunque nel caso di conto aperto il versamento non è qualificabile come pagamento e quindi non dovuto non esiste alcun indebito ripetibile.
Personalmente, trovo che subordinare la ripetizione di indebito all’integrale pagamento del saldo di chiusura del conto non sia un principio coerente sia coerente con il funzionamento di un conto corrente, atteso che le poste contabili di cui il conto corrente si compone, ossia i movimenti in dare ed in avere, fotografano e cristallizzano una realtà fattuale costituita da trasferimenti patrimoniali.
In sintesi, un’operazione in ingresso o in uscita non è solo una posta contabile in avere o in dare, ma indica l’esistenza il trasferimento di denaro tra due parti. A ben guardare il pagamento da una parte verso l’altra, ossia dal correntista alla banca e viceversa, non si ha alla chiusura del conto, bensì all’esito di ogni operazione di cui il conto si compone. Del resto su tale principio si fonda la nota Sentenza delle Sezioni Unite 24418/2010 in tema di prescrizione. Del resto, proprio sulla base di tale considerazione l’art. 1831c.c. stabilisce che “La chiusura del conto con la liquidazione del saldo è fatta alle scadenze stabilite dal contratto o dagli usi e, in mancanza, al termine di ogni semestre, computabile dalla data del contratto.” Tale principio presuppone che il conto corrente si chiuda periodicamente. Tuttavia, l’art. 1823c.c., comma 2, stabilisce che “Se non è richiesto il pagamento, il saldo si considera quale prima rimessa di un nuovo conto e il contratto s’intende rinnovato a tempo indeterminato.” È evidente che la “chiusura” del conto non necessariamente presuppone il pagamento del relativo saldo. Dunque, non è corretto affermare che prima della chiusura del conto non siano avvenuti “pagamenti” e che non esista un indebito irripetibile.
Nel caso che ci occupa il Tribunale ha dichiarato inammissibile la domanda ritenendo che “la domanda di ripetizione di somme indebitamente contabilizzate nell’ambito di un rapporto di conto corrente ancora in essere è inammissibile fino alla sua chiusura. Analogamente inammissibile era la domanda di rideterminazione del saldo, trattandosi di domanda non autonoma, ma strettamente connessa alla successiva e conseguenziale domanda di ripetizione di indebito”. Nello stesso segno la decisione della Corte d’Appello che ha rigettato l’appello ritenendo, tra l’altro, che “non risulta alcuna allegazione sulla denunciata chiusura dei conti in oggetto”. Dunque, il giudice d’appello si è mosso nel solco tracciato dal tribunale. È evidente, anche alla luce delle considerazioni sviluppate in precedenza che le motivazioni addotte nei provvedimenti di merito sono irragionevoli e muovono da un superficiale esame degli atti di causa e, soprattutto, dei principi di diritto richiamati per motivare l’inammissibilità della domanda. Infatti, la sentenza di appello che richiamava i principi indicati nella sentenza di primo grado è stata cassata dalla Suprema Corte.
La I sezione civile della Corte di Cassazione con l’Ordinanza 5118/24 in commento ha censurato le decisioni del Tribunale e della Corte d’Appello ritenendo che “La corte, però, ha omesso di considerare che in tema di conto corrente bancario, il correntista ha interesse all’accertamento giudiziale, prima della chiusura del conto, della nullità delle clausole anatocistiche e dell’entità del saldo parziale ricalcolato, depurato delle appostazioni illegittime, con ripetibilità delle somme illecitamente riscosse dalla banca, atteso che tale interesse mira al conseguimento di un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non attingibile senza la pronuncia del giudice, consistente nell’esclusione, per il futuro, di annotazioni illegittime, nel ripristino di una maggiore estensione dell’affidamento concessogli e nella riduzione dell’importo che la banca, una volta rielaborato il saldo, potrà pretendere alla cessazione del rapporto. (Cass., n. 21646/2018). Come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il correntista, sin dal momento dell’annotazione in conto di una posta, avvedutosi dell’illegittimità dell’addebito in conto, ben può agire in giudizio per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso: e potrà farlo, se al conto accede un’apertura di credito bancario, proprio allo scopo di recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli (Cass., Sez. U., n. 24418/2010, in motivazione; nel medesimo senso, sempre in motivazione, Cass., 2013, n. 798/2013).” Dunque la Suprema Corte ritiene che sia possibile contestare il saldo del conto corrente anche nel caso in cui sia aperto.
Dott. Francesco Leo