Il fideiussore parente o affine del soggetto garantito può liberarsi della fideiussione?
È piuttosto frequente che all’interno di una compagine aziendale sia richiesto non solo all’imprenditore, ma anche ai suoi famigliari, come il coniuge, i figli o altri affini di prestare fideiussione per garantire l’impresa finanziata.
In tale contesto non è detto che tutti i fideiussori siano pienamente informati della gestione dell’azienda e delle sue condizioni economiche.
L’Art. 1856 del Codice Civile prescrive che “Il fideiussore per un’obbligazione futura è liberato se il creditore, senza speciale autorizzazione del fideiussore, ha fatto credito al terzo, pur conoscendo che le condizioni patrimoniali di questo erano divenute tali da rendere notevolmente più difficile il soddisfacimento del credito.
Non è valida la preventiva rinuncia del fideiussore ad avvalersi della liberazione”
Conseguentemente, il fideiussore che non sia stato avvertito dello stato di difficoltà economica del debitore e non sia nelle condizioni di avere contezza dello stesso è liberato, indipendentemente dai rapporti di parentela, affinità o particolare vicinanza che abbia con il debitore o con chi gestisca l’impresa garantita.
Questo è quanto si può desumere dai principi espressi dalla terza sezione Civile della Cassazione con l’Ordinanza 27857 del 29 ottobre 2024.
Ma vediamo più nel dettaglio il contenuto del provvedimento.
I Fatti
Il giudizio trae origine da diverse opposizioni a decreto ingiuntivo con cui si chiedeva alla debitrice principale, una società di costruzioni, ed ai suoi fideiussori, il pagamento complessivo di euro 226.752,01, dovuto in parte a titolo di saldo di due contratti di apertura di credito in conto corrente bancario e, per l’importo residuo di euro 162.000,00, a titolo di anticipo su fattura.
Nei diversi giudizi di opposizione uno i fideiussori hanno eccepito l’applicazione di interessi superiori a quelli consentiti dalla normativa vigente, la violazione dell’art. 1956 del codice civile, nonché la violazione del principio di buona fede da parte della Banca.
Il Tribunale dopo avere riunito i giudizi li ha rigettati tutti.
La pronuncia della Corte d’Appello di Roma
Anche in grado di appello le cose non sono andate meglio per la società debitrice, nel frattempo fallita, né per i suoi garanti, visto che la Corte d’Appello ha ritenuto che gli appellanti non potessero giovarsi della liberazione dei fideiussori prevista dall’art. 1956 del Codice Civile non avendo provato la mala fede della Banca.
In particolare, la Corte d’Appello ha escluso l’applicazione dell’art. 1956 del Codice Civile essendo evidente la presunzione di conoscenza delle difficoltà economiche del debitore principale da parte dei fideiussori.
La presunzione di conoscenza, secondo la corte, originava sia dagli obblighi contrattuali previsti dall’art. 5 delle condizioni di fideiussione sottoscritte tra le parti, sia per la natura della società fallita a conduzione familiare.
In particolare la corte aveva stabilito che uno degli appellanti era direttore tecnico e socio dell’impresa, mentre l’altra appellante ne era la madre ed era anche la moglie convivente del socio di maggioranza ed amministratore della società.
Il ricorso per cassazione
La Sentenza di appello è stata impugnata per Cassazione con i seguenti motivi:
1) l’erogaziopne della somma di denaro era stata solo apparente, in mancanza di prova di tanto. Per tale ragione la Corte d’appello avrebbe dovuto spiegare da dove avesse ricavato che le operazioni erano state volute e autorizzate dai ricorrenti perché, in mancanza di dimostrazione dell’accordo sulla destinazione della somma, viene confermata la tesi che la traditio era stata assente, in quanto unilateralmente e contestualmente la Banca aveva accreditato e stornato le somme mediante un mero giroconto. Dunque è stata posta in essere una semplice operazione contabile, definita tecnicamente dalla Banca “operazione di giro”, con la quale la Banca ha utilizzato le somme per estinguere i finanziamenti pregressi dei correntisti, in assenza di alcuna istruzione in tal senso.
2) L’estratto conto qualificava come “operazione di giro” quello che la Corte d’appello aveva qualificato erroneamente come mutuo. Invece, la Corte d’appello avrebbe dovuto considerare il giroconto come ammissione di un fatto sfavorevole alla banca, l’ammissione cioè di non avere mai messo a effettiva disposizione dei clienti le somme oggetto del mutuo, che conseguentemente avrebbe dovuto essere ritenuto inesistente.Evidentemente, pregiudicati dalla decisione del giudice di appello i fideiussori hanno impugnato per Cassazione la Sentenza di secondo grado, con diversi motivi, ma quelli di maggiore interesse sono solo due, e cioè:
1) Con il primo motivo del ricorso si censura la Sentenza di appello per avere escluso la responsabilità della Banca che aveva concesso al debitore principale ulteriori finanziamenti, nonostante fosse a conoscenza delle difficoltà economiche dello stesso, senza previamente informare il fideiussore dell’aumento del rischio e senza chiedergli la preventiva autorizzazione come prevede l’art. 1956 del Codice Civile. Sul punto, il ricorso precisa che la Corte d’appello aveva omesso di esaminare documenti decisivi a provare che l’azione della banca era stata posta in essere in violazione dll’art. 1956 del Codice Civile.
Più precisamente risultava che erano stati elevati ben sei protesti a carico della società garantita tra luglio ed ottobre del 2007 e che a novembre 2007 la Banca aveva concesso l’ulteriore somma di euro 162.000,00 a titolo di anticipo su fattura sebbene a tale ultima data la società versasse già in grave difficoltà finanziaria.
Inoltre, i giudici di appello avevano omesso la valutazione di documenti che avrebbero dovuto indurre a ritenere l’impossibilità per il fideiussore di avere conoscenza dello stato di decozione della società garantita. Tanto sul presupposto che in particolare uno dei garanti non aveva mai fatto parte della compagine societaria né aveva mai rivestito cariche sociali e, dunque, non aveva accesso ai documenti societari e/o bancari. Quindi, doveva ritenersi pienamente operativa in suo favore la garanzia stabilita dall’art. 1956 del Codice Civile, con conseguente sua liberazione.
2) Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente ha eccepito l’omessa valutazione della contestazione concernente la quantificazione del debito, insistendo nell’affermare come, nel calcolo globale dell’eventuale credito vantato dalla banca nei confronti del fideiussore, il debito debba essere depurato dagli interessi moratori e dall’anatocismo, perché, in caso contrario, si integrerebbe una violazione dell’art. 1941 del Codice Civile, che impone che la fideiussione non possa eccedere ciò che è dovuto dal debitore a titolo di obbligazione principale.
L’Ordinanza 27857/24: i motivi di accoglimento delle ragioni del fideiussore
Alla luce di tali argomentazioni la terza sezione Civile della Cassazione ha ritenuto che la Corte d’appello abbia applicato in maniera errata la disposizione l’art. 1956 del Codice Civile, non valutando in modo corretto il comportamento tenuto dalla Banca e facendo ricorso, impropriamente, alle presunzioni ai fini probatori.
Infatti, l’istituto di credito aveva, nella sostanza, aggravato la posizione dei fideiussori concedendo l’ulteriore somma di euro 162.000,00 a titolo di anticipo sul fattura.
La Suprema Corte precisa che la clausola che prevede l’obbligo di informazione a carico del fideiussore è ammissibile, a condizione che l’istituto bancario tenga, nel corso del rapporto, un comportamento improntato ai principi di buona fede e correttezza. Inoltre, la clausola non può essere interpretata quale rinuncia ad avvalersi dell’art. 1956 del Codice Civile, per cui non è da considerare nulla, ai sensi dell’art. 1418 del Codice Civile.
Tuttavia, la Cassazione sottolinea che la banca che concede finanziamenti al debitore principale pur conoscendone le difficoltà economiche, confidando nella solvibilità del fideiussore, senza informare quest’ultimo dell’aumentato rischio e senza chiederne la preventiva autorizzazione, incorre in una palese violazione degli obblighi generici e specifici di correttezza e di buona fede contrattuale.
Più specificamente la Corte richiama un il consolidato principio di diritto già oggetto di precedenti pronunce di legittimità, secondo il quale “non è coerente con i principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto il fatto che la nuova concessione di credito sia avvenuta nonostante il peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debito, sì che possa ritenersi che la banca abbia agito nella consapevolezza di un’irreversibile situazione di insolvenza e, quindi, senza la dovuta attenzione anche all’interesse del fideiussore” (cfr., Cass., sez. 1, 09/08/2016, n. 16827; Cass., sez. 1, 16/05/ 2013, n. 11979; Cass., sez. 1, 11/01/2006, n. 394).
In ogni caso occorre considerare che la protezione accordata dall’art. 1956 del Codice Civile al fideiussore deve rispondere alla permanente estraneità di quest’ultimo rispetto ai reali termini dello svolgimento del rapporto garantito, è evidente che la mancata richiesta di autorizzazione del creditore al fideiussore non può configurare una violazione contrattuale idonea a liberare il fideiussore se questo era a conoscenza delle difficoltà economiche del debitore principale.
Tuttavia, non si può attribuire valenza di prova presuntiva, ai fini della specifica autorizzazione richiesta dall’art. 1956 del Codice Civile, alla sola esistenza di un rapporto di parentela o di affinità.
Nel caso in esame i giudici d’appello si sono limitati ad accertare l’esistenza di un rapporto di coniugio e di convivenza tra la ricorrente ed il socio di maggioranza e amministratore unico della società garantita, e a desumere sulla base di tale circostanza la conoscenza, in capo alla ricorrente, delle reali condizioni economiche in cui versava la società garantita.
Tale decisione trascura di considerare come la presunzione probatoria non potesse essere di per sé sufficiente a far ritenere che la fidejubente avesse reale contezza della situazione debitoria in cui versava la debitrice principale e, quindi, tale presunzione probatoria non fosse idonea ad escludere la violazione del principio di buona fede da parte della Banca.
La corte ha così cassato la sentenza di appello, rinviandola alla Corte d’Appello in diversa composizione.
This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.
Cookie strettamente necessari
I cookie strettamente necessari dovrebbero essere sempre attivati per poter salvare le tue preferenze per le impostazioni dei cookie.
Se disabiliti questo cookie, non saremo in grado di salvare le tue preferenze. Ciò significa che ogni volta che visiti questo sito web dovrai abilitare o disabilitare nuovamente i cookie.