L’eccezione di prescrizione è una difesa molto utilizzata dagli istituti di credito, che hanno sfruttato ed utilizzano questo argomento per contenere al massimo la restituzione di indebito. Infatti, laddove opera la prescrizione l’importo da restituire al correntista si riduce progressivamente. La prescrizione opera come una vera e propria sanatoria sulle illegittimità perpetrate dagli istituti di credito ai danni del correntista.
La sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite 24418/10 detta i principi su come opera la prescrizione, quindi si può affermare, senza timore di smentita, che tutto il contenzioso bancario attuale, per la parte relativa alla prescrizione, trova la sua principale fonte in questa pronuncia.
>La sentenza trae origine proprio dalla impugnazione in sede di legittimità, di una sentenza della Corte d’Appello di Lecce, che vedeva coinvolto un correntista ed un istituto di credito.
Molto sinteticamente la Sentenza delle Sezioni Unite detta i criteri tecnici per individuare l’operatività della prescrizione nel caso di conti aperti.
Secondo le Sezioni Unite le rimesse solutorie, cioè tutti i versamenti effettuati dal correntista con natura di pagamento di interessi, commissioni, spese ed altri oneri, hanno la funzione di prescrivere le competenze pregresse al versamento, che anche se illegittime, essendo prescritte non rendono più operante il diritto del correntista a vedersele restituite.
Le Sezioni Unite hanno dettato i criteri per qualificare le rimesse come solutorie, cioè pagamenti, o ripristinatorie della provvista, cioè utili semplicemente a riespandere l’utilizzo del fido.
>Il criterio è che tutti i versamenti effettuati dal correntista oltre il limite del fido, o con fido pari a zero, hanno natura solutoria, pertanto sono idonei a prescrivere le competenze addebitate dalla banca. Invece, i versamenti effettuati entro i limiti del fido hanno natura ripristinatoria, dunque, non sono idonei a prescrivere le competenze bancarie.
Il dibattito dottrinale e giurisprudenziale, riguarda diversi aspetti. Si discute sul fido di fatto, ossia sul fatto di poter dimostrare l’esistenza di un affidamento, anche se non vi è un contratto che ne stabilisce l’ammontare.
>La Cassazione ha affrontato la questione chiarendo che il correntista può documentare l’esistenza del fido anche mediante documenti diversi dai contratti, e quindi ad esempio con una visura della centrale rischi di Banca d’Italia, o mediante gli stessi estratti conto (cfr. Cass 2338/2024).
>L’altra rilevante questione è costituita dalla corretta quantificazione del saldo di conto corrente da considerare per capire se il saldo operava entro o oltre i limiti del fido. Sul punto, la Cassazione con Sentenza n° 9141/2020, cui sono seguite in senso conforme altre pronunce, ha chiarito che le poste contabili generate da clausole nulle devono essere escluse dal saldo di conto, sull’assunto che la clausola nulla è improduttiva di effetti. Quindi, accertata la nullità delle clausole contrattuali, i saldi del conto devono essere sterilizzati dagli addebiti posti in essere sulla base di clausole nulle. Solo all’esito di tale epurazione si può procedere con la verifica sulla prescrizione.
Ebbene, la Corte d’Appello di Lecce, che come detto ha pronunciato la Sentenza dalla quale hanno preso le mosse le Sezioni Unite nel 2010, finora non aveva condiviso il principio secondo il quale occorre sterilizzare i saldi degli addebiti generati da clausole nulle.
Con la Sentenza che qui commento n. 59/2025 del 27/01/2025, che mi ha visto direttamente impegnato come Consulente Tecnico di parte, al fianco dell’Avv. Gianluca Sardella del foro di Brindisi, difensore della società correntista, la Corte d’Appello di Lecce rivede il proprio orientamento in materia di prescrizione. Infatti, come ha scritto espressamente il Collegio ripensando alla questione più approfonditamente “melius re perpensa”, per accertare la prescrizione occorre preliminarmente depurare i saldi del conto corrente di tutte le poste illegittime. Successivamente a tale rettifica, si può procedere con l’individuazione della parte solutoria di ogni singolo versamento effettuato dal correntista.
Con questa motivazione che fa propri i principi espressi in Cass 9141/20 la Corte di Appello di Lecce rivede un orientamento che era di segno opposto e che si era consolidato.
Quindi anche per la Corte di Appello di Lecce che, finora, non aveva condiviso questo principio, il saldo deve essere rettificato prima di accertare la natura solutoria o ripristinatoria dei versamenti effettuati dal correntista.
Dott. Francesco Leo