Prescrizione nel conto corrente: Perché è importante capire quando esiste un fido di fatto?

Il fido di fatto nella prescrizione del conto corrente

A seguito della Sentenza 24418/10 pronunciata dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione si è imposto nella giurisprudenza di merito, Tribunali e Corti d’Appello, l’orientamento secondo il quale per capire se gli importi addebitati illegittimamente a titolo di interessi, commissioni e spese, sono prescritti o meno.

Dunque, per capire se gli addebiti illegittimi possono essere pretesi in restituzione o meno dal correntista è necessario valutare la natura di pagamento (c.d. rimesse solutorie) o di semplice ripristino del fido (c.d. rimesse ripristinatorie) dei versamenti confluiti sul conto.

Riassumendo, se interessi e competenze sono coperti da un versamento che ha natura di pagamento non possono essere richiesti in restituzione neanche se i relativi addebiti sono illegittimi.

La natura di pagamento o meno di una rimessa si stabilisce, secondo le Sezioni Unite, avendo riguardo al fido. Quindi i versamenti effettuati dal correntista su un conto in rosso, cioè in assenza di fido o sconfinato, hanno natura di pagamento e sono utili a fare maturare la prescrizione.

Invece, i versamenti posti in essere entro il limite del fido hanno natura ripristinatoria della provvista e quindi non danno luogo a prescrizione. In tale ottica è di cruciale importanza determinare se esiste un fido ed a quanto ammonta.

Il problema è facilmente risolvibile se esiste un contratto di apertura di credito, ma tutto si complica dinnanzi ad un fido “di fatto”.

In cosa consiste il fido di fatto?

Il fido di fatto si realizza ogni qualvolta la banca concede stabilmente, costantemente e non occasionalmente al correntista di utilizzare capitali di esclusiva proprietà della banca a fronte dei quali sono addebitati interessi spese e commissioni, senza predisporre apposito contratto di apertura di credito.

In sintesi, se la banca consente in un contratto di apertura di credito stipulato secondo le previsioni dell’art. 1842 CC e seguenti:

  • addebiti o prelievi su un conto corrente
  • privo della necessaria provvista
  • in maniera non occasionale
  • senza formalizzare tale situazione

si ha un fido di fatto.</p>

Occorre, poi, considerare che ogni qual volta la banca mette a disposizione del correntista una somma di denaro, con il quale il correntista si finanzia, tale prestito genera delle remunerazioni dette anche compete

nze.

Cosa sono le competenze bancarie?

A fronte dell’utilizzo del fido la banca percepisce remunerazioni di diversa natura.</p>

In primo luogo all’utilizzo di capitali di proprietà della banca consegue l’addebito di interessi ultralegali, calcolati cioè con un tasso diverso e superiore rispetto al tasso legale previsto dall’

art. 1284 cc, che deve essere appositamente concordato mediante idoneo contratto. In assenza di tale convenzione trova applicazione il tasso legale.

Quindi, si hanno addebiti per commissioni sugli affidamenti, queste devono essere concordate per iscritto secondo le modalità e nei termini stabiliti dall’art. 117 bis del TUB. Laddove tale disciplina non sia rispettata le commissioni sul fido non possono essere legittimamente addebitate.</p>

Oltre alle spese di varia natura, che devono essere contrattualizzate in maniera puntuale, è necessaria la pattuizione anche dei giorni valuta, i quali sono funzionali al calcolo degli interessi e possono avere lo stesso “peso” economico dei tassi d’intere

sse.

Come provare l’esistenza del fido di fatto?

Laddove il correntista ha utilizzato per lunghi periodi l’affidamento e si è visto addebitare a tale titolo competenze, generalmente trimestrali, tale situazione è cristallizzata negli estratti conto, nei riassunti scalare ed anche in scritture diverse, come ad esempio i dati contenuti nella Centrale Rischi tenuta dalla Banca d’Italia.

Proprio la Banca d’Italia annota il fido accordato, cioè l’importo dell’affidamento concesso sulla base di un contratto e l’utilizzo del conto, detto anche accordato operativo e costituito dal saldo registrato alla fine di ogni mese su ogni conto corrente che presenti un saldo a debito. Assieme a tali dati sono altresì indicate le garanzie, con evidenza di importi e dati dei garanti, che assistono ogni conto.

La circolare BI n° 139/91 prevede anche l’ipotesi in cui la banca non abbia contrattualizzato il fido ed abbia consentito l’utilizzo “di fatto” del fido mediante accordato operativo.

Sul punto è intervenuta anche la Cassazione che ha stabilito che non può essere preclusa per il correntista la possibilità di fornire la prova dell’affidamento attraverso mezzi diversi dalla produzione del documento contrattuale, quali gli estratti conto o riassunti scalari, attestanti il reiterato adempimento da parte della Banca di ordini di pagamento impartiti dalla correntista, anche in assenza di provvista (cfr Cass. Ordinanze n.34997/2023, n.35189/2023 e n. 2338/24).

La Sentenza della Corte di appello di Ancona

Chiariti tali concetti utili alla migliore comprensione della Sentenza della Corte di Appello di Ancona, che ha visto lo studio Kipling direttamente coinvolto, quale consulente della società correntista, vediamo perché la Corte ha riconosciuto la correttezza della sentenza di primo grado.

Il tribunale ha condannato la banca è stata a restituire ben 651.118,52 di illegittime competenze, oltre interessi e spese, a favore della correntista, respingendo le tesi difensive dell’istituto di credito riguardo all’intervenuta prescrizione del diritto alla restituzione della somma.

La Sentenza affronta temi quali l’illegittimità degli interessi anatocistici, dei tassi ultralegali, l’addebito di Commissioni di Massimo Scoperto non dovute, ma l’argomento più importante è certamente costituito dal tema della prescrizione nel conto corrente.

I fatti di causa

La Srl correntista aveva acceso il conto con la banca nel dicembre 1983 ed aveva chiuso il conto nell’ottobre 2013. Quindi, era stata sviluppata una perizia econometrica – dallo studio Kipling – dalla quale era emerso l’addebito di competenze illegittime per oltre 650.000 euro.

Il conto risultava privo di contratti fino al 1996 e la banca non aveva prodotto tali convenzioni né in sede di richiesta documentale secondo l’art. 119 TUB, né in corso di giudizio. L’istituto di credito aveva, tuttavia, eccepito l’intercorsa prescrizione delle competenze ultradecennali, ritenendo che la somma richiesta non dovesse essere restituita in quanto il diritto alla restituzione dei singoli addebiti era orami prescritto.

La sentenza del Tribunale

Il giudice di primo grado dopo avere constatato che le illegittimità contrattuali lamentate dalla Srl correntista erano effettivamente sussistenti, ha incaricato un Consulente Tecnico d’Ufficio per ricostruire il conto corrente, dandogli anche l’incarico di verificare se il conto fosse affidato.

Il CTU ha potuto verificare che il conto era stato utilizzato dal 1983 al 1996 in maniera costante e non occasionale per finanziare le attività della Srl, peraltro con utilizzo di importi molto ingenti. Nonostante l’assenza di disciplina contrattuale, a fronte di tale utilizzo, risultavano addebitate elevatissime competenze ed erano state prestate garanzie fideiussorie dai soci della Srl.

Tutti tali elementi secondo il Tribunale erano sufficienti a dimostrare l’esistenza di un fido di fatto ed anche a quantificarne l’ammontare. Pertanto la tesi difensiva dell’istituto di credito,

circa l’intercorsa prescrizione, non avrebbe potuto essere accolta, visto che era in contrasto con gli elementi oggettivi desumibili dalla documentazione bancaria agli atti.

La sentenza della Corte d’Appello

Secondo la banca il giudice di primo grado ha errato a ritenere operante un fido di fatto per valutare la prescrizione sul conto. Infatti, l’utilizzo del conto scoperto, per quanto tollerato dalla banca, non dimostra l’esistenza del fido, che, invece, avrebbe dovuto essere provata dal correntista mediante la produzione del contratto di affidamento.

Questa difesa secondo la Corte è infondata. Invece, l’avvenuta conclusone di un contratto di apertura di credito e la validità di tale contratto nei limiti dell’affidamento concesso, è dimostrata da una serie di elementi convergenti.

In particolare, il giudicante si è soffermato oltre che sulla circostanza per cui la banca ha consentito in maniera stabile e costante di finanziarsi anche per somme ingenti, mediante l’utilizzo del conto corrente, anche sul fatto che non è mai stata avanzata alcuna richiesta di rientro dallo scoperto. Inoltre, dagli estratti conto scalare risulta l’applicazione di tassi debitori entro ed oltre fido, l’addebito di CMS entro ed oltre fido. La banca ha poi qualificato le CMS come “remunerazione dell’obbligo di tenere a disposizione una somma in favore dell’accreditata” Srl.

Tutti tali elementi messi assieme dimostrano l’esistenza di un fido, pertanto la pretesa della banca che vorrebbe vedere prescritte tutte le competenze dal 1983 al 2005, inibendo la pretesa restitutoria della correntista, è infondata. Con questa conclusione il giudice di appello ha confermato la condanna al pagamento di oltre 650.000 oltre interessi e spese in favore dalla Srl.

Corte D’Appello di Ancona – Prima Sezione Civile

Dott. Francesco Leo

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