Revoca del Decreto Ingiuntivo e condanna per responsabilità aggravata nei confronti della banca:
Anatocismo illegittimo dopo il 2000, CMS non dovute e illegittimi addebiti di interessi sui conti anticipi hanno determinato l’azzeramento dell’esposizione debitoria di € 300.000 riconoscendo un credito di € 200.000 a favore della Società correntista.
I fatti
La vicenda è caratterizzata da tratti comuni a molti imprenditori. La Srl gode di diverse linee di credito necessarie per l’anticipo delle fatture e per il pagamento dei fornitori. I fidi sono utilizzati per garantire elasticità di cassa nel lasso di tempo necessario tra la produzione dei beni e l’incasso dei proventi generati dalle vendite.
Gli affidamenti in conto corrente sono garantiti dalla fideiussione di ognuno dei soci.
Le attività della Srl, attiva nel campo della costruzione di imbarcazioni, procedono regolarmente dai primi anni 90, finchè nel 2009 ad una richiesta di chiarimenti su ingenti addebiti di interessi e CMS avanzata direttamente dall’imprenditore segue una richiesta di rientro immediato con conseguente chiusura dei conti e segnalazione di passaggio a sofferenza nella Centrale Rischi della Banca d’Italia.
La segnalazione, posta in essere anche nei confronti di tutti i garanti, induce tutti gli altri istituti di credito con cui la Srl opera a chiedere il rientro degli affidamenti in essere. Tutto ciò paralizza le attività produttive portando la società al fallimento. A questo punto il patrimonio immobiliare dei garanti è in forte pericolo, ma l’azione giudiziaria intrapresa contro l’istituto di credito scongiura gravi danni per i fideiussori.
La causa
Nel 2009, all’esito della richiesta di rientro l’amministratore e fideiussore della società si rivolge allo studio Kipling per una completa revisione bancaria su tutti i rapporti intrattenuti con i diversi istituti di credito.
In particolare, la perizia econometrica sull’apertura di credito in conto corrente oggetto della prima richiesta di rientro rivela l’illegittimità dell’anatocismo anche successivamente al 2000, l’illegittimità degli addebiti per CMS e l’illegittimità degli interessi calcolati a tassi ultralegali sui conti anticipi, nonché l’illegittimità di tutti gli addebiti di competenze effettuati sui conti anticipi con conseguente applicabilità dell’art. 117 TUB. La norma prevede l’esclusione delle condizioni applicate dalla banca ed il conseguente calcolo degli interessi al tasso minimo dei BOT. La perizia disvela diversi addebiti illegittimi, talmente rilevanti, da rendere inesistente il credito indicato negli estratti conto e da produrre un credito a favore della Srl.
La conclusione della perizia econometrica predisposta dal Dott. Francesco Leo è che il debito indicato in estratto conto superiore ad € 200.000,00 è inesistente, ed anzi la Srl è creditrice di oltre € 100.000,00. La causa viene istruita e nel 2013 una prima CTU conferma pienamente la presenza degli addebiti illegittimi e le conclusioni della perizia di parte.
La banca contesta tutto strenuamente, al punto che incarica una società di recupero crediti di proseguire per il recupero coatto del credito mediante un Decreto Ingiuntivo anche nei confronti dei garanti. Quindi, anche se i rapporti di apertura di credito risultano contestati, viene notificato un Decreto Ingiuntivo, nei confronti della Srl e dei suoi garanti per il pagamento di € 211.282,77 oltre interessi.
Anche il Decreto viene opposto dalla società e dai garanti.
Nel giudizio di opposizione al Decreto Ingiuntivo viene disposta una CTU nella quale il consulente del Tribunale riscontra le illegittimità evidenziate nella perizia di parte redatta dal Dott. Leo, nonché della CTU già incaricata nell’altra causa.
Pertanto entrambi, i consulenti del Tribunale, oltre che il CTP, confermano la fondatezza delle contestazioni e dei risultati contabili pervenendo ad affermare l’inesistenza dell’esposizione debitoria indicata in estratto conto e l’esistenza di un ingente credito a favore della Srl.
Nel 2017 i due procedimenti vengono riuniti davanti allo stesso giudice, che visti gli esiti delle CTU invita la Banca, mediante una formale proposta conciliativa ai sensi dell’art. 185 bis cpc ad abbandonare le proprie pretese ed a restituire parte delle somme indebitamente addebitate sui conti.
La banca oppone un netto rifiuto proseguendo strenuamente la propria difesa volta a dimostrare la conformità alla legge del proprio operato.
La sentenza
Nel giugno 2022 viene depositata la sentenza con la quale il Tribunale condanna la banca alla restituzione di quanto indebitamente percepito, attesi i riscontri positivi di due diversi periti incaricati dal Tribunale, ed infligge l’ulteriore sanzione della responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 cpc.
In particolare la sentenza si sofferma su diversi aspetti di illegittimità riscontrati nell’esame dei rapporti di affidamento in conto corrente.
Anatocismo
Secondo il Tribunale sull’apertura di credito in conto corrente la capitalizzazione trimestrale degli interessi è illegittima anche successivamente alla delibera CICR del 2000. Sul punto il tribunale ha rigettato la tesi difensiva propugnata dall’istituto di credito secondo cui a far data dal 1.7.2000 la capitalizzazione trimestrale sarebbe stata legittima stante l’adeguamento alla delibera CICR del 9.2.2000.
Il Tribunale ha chiarito che sebbene da entrambe le relazioni di CTU si evinca il dato relativo alla operatività, a far data dal 30.06.2000, della “medesima periodicità per il calcolo degli interessi a debito ed a credito” qualunque modifica negoziale tramite clausola applicativa della capitalizzazione trimestrale si scontra con la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 25, c. III, D.lgs. 342/1999 resa dalla Consulta con sentenza 17 ottobre 2000, n. 425, costituendo una modifica in pejus.
Secondo il Giudice, anche se si volessero accogliere le argomentazioni difensive dalla banca non risulta prodotta nessuna convenzione scritta dalla quale si evinca l’accettazione da parte del correntista della clausola anatocistica con pari periodicità.
Sicché, invocando l’applicazione della norma di cui all’art. 7 co. III della delibera CICR consegue, in difetto di risconto di nuovo documento contrattuale, l’esclusione della legittimità della capitalizzazione anche per la fase successiva all’entrata in vigore della delibera CICR e per tutta la durata del rapporto accertato.
Tali conclusioni non sono destinate a mutare neanche in considerazione dell’ulteriore argomento difensivo, secondo cui la capitalizzazione trimestrale è stata prevista in maniera reciproca poiché tale previsione attiene al diverso rapporto contrattuale del 17.11.2008, di anticipazione contro cessione di credito (c.d. anticipi su fattura) – non già al rapporto principale di conto corrente – la cui autonomia funzionale è scolpita, tra le altre, dalla causa di finanziamento
Commissioni di Massimo Scoperto
Il Tribunale ha acclarato che il contratto del 23.09.1998 indica le aliquote delle CMS, ma non risulta determinata alcuna altra specificazione idonea a stabilire in modo inequivoco le modalità di calcolo.
Sicché, anche tale clausola è stata dichiarata nulla con conseguente ricalcolo del saldo del conto corrente improntato alla neutralizzazione degli addebiti a tale titolo (i quali vanno, pertanto, restituiti analogamente agli interessi anatocistici).
Interessi e competenze dei conti anticipi
Quanto, poi, ai rapporti relativi i conti anticipi è stata riscontrata la mancanza di idoneo contratti di apertura di credito pienamente valido ed efficace ai sensi e per gli effetti dell’art. 1842 cc. In ragione di tale circostanza trova applicazione il regime dei tassi sostitutivi ex art. 117 TUB, con esclusione di ogni spesa e commissione non pattuita.
La posizione dei fideiussori
Il Tribunale è stato altresì chiamato a pronunciarsi anche sulla posizione dei garanti, ed ha concluso che “le considerazioni svolte in ordine alla nullità della clausola del contratto di conto corrente (affidato) relativa alla capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori nonché alla cms conducono, logicamente, alla valutazione di fondatezza dei corrispondenti motivi di opposizione avverso il decreto ingiuntivo n. 24/2010 anche con riferimento alla posizione dei coobligati”.
Pertanto, è stata disposta la revoca del Decreto Ingiuntivo anche nei confronti dei fideiussori, con assorbimento di ogni altra questione avuto riguardo alla circostanza inerente la rideterminazione del saldo – a credito – a favore della società correntista debitrice principale.
La condanna ex art. 96 cpc
Il Giudice ha altresì sanzionato l’istituto di credito per responsabilità aggravata ai sensi dell’art. 96 comma III cpc avuto riguardo al contegno processuale tenuto dalla Banca.
In particolare, il Tribunale ha ritenuto di sanzionare l’istituto di credito a causa del rifiuto non giustificato di aderire alla proposta conciliativa formulata con ordinanza del 3.6.2019 ex art. 185 bis cpc ulteriormente aggravato dalla condotta dilatoria dell’istituto medesimo.
Conclusioni
Il giudice ha revocato il decreto ingiuntivo, ritenendo inesistente l’esposizione debitoria indicata dalla banca indicata complessivamente in € 292.409,23 ed ha invece condannato la banca a rifondere alla curatela fallimentare €198.574,21 oltre interessi legali.
Provvedimenti del genere possono aprire nuovi scenari per l’imprenditore fallito, laddove si dimostri l’inesistenza dello stato di decozione ove i crediti indicati nello stato passivo del fallimento siano epurati di tutti gli addebiti illegittimi.
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