Revoca sentenza dichiarativa di fallimento sulla base della C.T. di parte Kipling

Revocato il fallimento della società che ha dimostrato l’inesistenza della pretesa creditoria di oltre 14 milioni di euro azionata da 12 istituti di credito. Lo stato di decozione non esiste se si escludono interessi anatocistici ed usurari.

 Il provvedimento del Tribunale di Nola che riproponiamo a distanza di anni dalla sua prima pubblicazione sul nostro sito www.kipling90.com, sebbene piuttosto risalente – è del 2007 – ha portata innovativa tale da essere ancora attuale. Inoltre, è, forse, unico nel suo genere.

Si tratta della Sentenza del tribunale di Nola, con cui è stata revocata la sentenza dichiarativa del fallimento di una società a capo di un’articolata compagine societaria.

Lo studio Kipling ha realizzato la revisione bancaria su usura ed anatocismo che ha permesso la contestazione di oltre € 14.000.000 di crediti vantati dalle banche e per la gran parte non dovuti.

 

I fatti

Il provvedimento muove dall’opposizione alla sentenza con la quale si dichiarava il fallimento di una Srl capogruppo di una più articolata compagine societaria, con gravissime conseguenze oltre che per la società, anche per i suoi fideiussori, che garantivano con il loro patrimonio personale i rapporti di affidamento, i finanziamenti ed i mutui intrattenuti dalla società con diverse banche.

L’attività di revisione bancaria posta in essere nei primi anni 2000 evidenziò la presenza di ingentissimi addebiti illegittimi sui conti della società dovuti prevalentemente ad anatocismo, usura, applicazione di tassi ultralegali non validamente pattuiti, ed addebiti di commissioni e spese non legittimamente regolamentate da idonee convenzioni di apertura di credito.

Oltre a tanto furono, altresì, oggetto di perizia diversi mutui utilizzati per coprire le esposizioni debitorie generate dagli affidamenti, ma formalmente contratti con uno scopo apparentemente diverso.

Le sentenze diedero ragione all’imprenditore, tanto che si pervenne anche alla declaratoria di nullità di un mutuo di oltre € 12.000.000 con condanna della banca alla restituzione del capitale mutuato, attesa la nullità del contratto.

Anche in sede penale si pervenne a delle condanne per usura. Tuttavia, il Tribunale di Nola, prima ancora che tutti i giudizi avviati si concludessero in maniera definitiva p0rununciò la sentenza di revoca del fallimento.

 

La sentenza n° 2208/07 della I sezione Civile del Tribunale di Nola

Il provvedimento è interessante poiché offre un punto di vista tutt’oggi peculiare dei principali elementi di valutazione per la declaratoria di fallimento.

 

Lo stato di decozione

La sentenza valuta la mancanza del presupposto oggettivo costituito dallo stato di decozione della società fallita alla luce delle illegittimità riscontrate in sede di revisione dei rapporti bancari. Il tribunale ritiene che le contestazioni mosse dalla fallita riguardo i crediti pretesi dalle banche fossero state articolate in maniera tanto puntuale e analitica da porre seri dubbi sulla effettiva sussistenza dei crediti vantati.

Dubbi, confermati dalla circostanza in base alla quale in parte i crediti derivavano da contratti nulli – in quanto mutui di scopo contratti al solo fine di coprire pregresse esposizioni bancarie – in parte perché provenienti da contratti sprovvisti di data certa, e ancora perché crediti non certificati ex art. 50 TUB o perché non certi sia nell’an che nel quantum.

Rivalutando le pretese creditorie dell’istituto di credito nei confronti della società alla luce di tali circostanze il Tribunale ha ritenuto le pretese creditorie illegittime ed infondate poiché poste in essere in violazione delle norme di legge in materia di interessi anatocistici ed usurai.

Il fatto che il legale rappresentante avesse formulato una proposta di rientro alla banca non è stato considerato dirimente ai fini della valutazione sullo stato di decozione. Il tribunale, ha infatti ritenuto, che contrariamente a quanto affermato dell’istituto di credito, la proposta di rientro non poteva valere come confessione giudiziale.

Dunque, in considerazione di tutti tali aspetti, è stato ritenuto insussistente lo stato di decozione conseguentemente all’insussistenza del credito preteso nella quantificazione operata dalla banca.

 

Tempo della valutazione

L’altro elemento dirimente ai fini della valutazione è stata l’individuazione temporale del momento dell’accertamento dell’insolvenza.

Il Giudice ha offerto una valutazione ampia ritenendo che l’accertamento dell’insolvenza deve essere condotto al momento in cui si compie la decisione sull’istanza di fallimento, ma considerando i dati derivanti dalla gestione fallimentare. Dati, che sebbene già presenti al momento della dichiarazione di fallimento, vengono conosciuti successivamente.

È quindi evidente che tale principio valorizza quanto emerso anche in epoca successiva alla sentenza dichiarativa di fallimento, riguardo l’effettiva sussistenza e consistenza dei crediti bancari.

Sul punto il Tribunale afferma che “dagli atti risulta che l’esposizione debitoria della società nei confronti degli istituti di credito è da considerarsi fortemente ridotta alla luce delle contestazioni relative ai praticati interessi anatocistici (in virtù della operata a capitalizzazione trimestrale). Inoltre, come risulta ancora dalle perizie di parte fatte redigere dalla società opponente, i debiti delle banche comprendono somme calcolate sulla base di interessi in violazione della legge antiusura, così come confermato anche dalla relazione del curatore sui contratti con gli istituti di credito, depositata in data 21/12/06 e da quella integrativa successivamente depositata l’11/04/07 all’esito delle quali il giudice delegato ha concesso l’autorizzazione a sporgere denuncia-querela contro le banche creditrici per il reato di usura. Va, altresì, evidenziato che tutti i crediti delle banche in virtù dei quali si era esistente la situazione di insolvenza non sono stati poi ammessi al passivo  (in parte perché derivanti da contratti nulli, in quanto mutui di scopo contratti al solo fine di coprire pregresse esposizioni bancarie, perché provenienti da contratti sprovvisti di data certa, in parte perché crediti non certificati ex art. 50 tub, in parte perché non certi sia nell’an che nel quantum) – come risulta dall’elenco delle domande di ammissione al passivo della procedura in questione e come emerge, altresì, dalla relazione del curatore depositata l’11/04/07.”

In sintesi secondo il tribunale le illegittimità viziavano i saldi dei rapporti, e conseguentemente falsavano l’esposizione debitoria al momento del fallimento, tanto incideva negativamente sulla valutazione circa lo stato di decozione. Tuttavia, solo successivamente tali profili di illegittimità e, per certi versi, di illiceità erano stati portati a conoscenza della società sono in epoca successiva al fallimento. Quindi, l’emersione di tali aspetti avrebbe potuto essere considerata ai fini di una valutazione sui presupposti che avevano portato alla sentenza dichiarativa di fallimento, al punto di revocarla.

 

Risarcimento danni

Il tribunale ha esplicitamente riconosciuto la possibilità per la società – laddove le contestazioni formulate fossero state confermate nei giudizi di contestazione dei rapporti bancari – di intraprendere azioni di risarcimento del danno nei confronti dell’istituto di credito.

A parere di chi scrive, l’azione di risarcimento del danno può, in questi casi, riguardare oltre che la società anche i soci ed i garanti. I primi, vedono infatti leso il patrimonio costituito dalle quote societarie detenute, sia in termini di danno emergente che di lucro cessante. Infatti oltre al depauperamento subito a causa della indebita dichiarazione di fallimento, i soci subiscono i danni relativi ai mancati introiti futuri che sarebbero derivati dalla piena operatività aziendale.

I garanti patiscono i danni derivanti dal congelamento del proprio patrimonio, viepiù se aggredito, nonché dalle segnalazioni pregiudizievoli presso la centrale rischi e le altre centrali di allarme interbancario.

 

La sentenza qui commentata, sebbene datata, offre spunti molto interessanti e tutt’ora attuali.

Leggi sentenza
Kipling Revisione Bancaria